Sim racing e neuroscienze: cosa succede quando il cervello entra in flow?
- Michelle Manias
- 17 ott
- Tempo di lettura: 3 min
“Non è un videogioco. È un laboratorio mentale.”
Questa frase riassume perfettamente quello che accade quando un pilota — professionista, atleta o semplice appassionato — si siede davanti a un simulatore di guida.
Per chi guarda dall’esterno, sembra un esercizio di abilità tecnica: frenate, curve, strategie. Ma per chi è dentro, è un viaggio dentro il cervello umano.

Quando la mente si accende
Nel momento in cui il pilota avvia la simulazione, il cervello entra in modalità performance: la corteccia prefrontale (decision-making), l’amigdala (gestione dello stress e delle emozioni) e il cervelletto (coordinazione motoria fine) iniziano a lavorare in perfetta sincronia.
È un gioco di equilibri tra logica, istinto e controllo. Ogni curva richiede una scelta rapida, ogni millisecondo un aggiustamento, ogni errore una ricalibrazione.
Nei laboratori che organizziamo in collaborazione con di DOT12 ASD, associazione sportiva che si dedica proprio alla simulazione di guida, abbiamo osservato come cambiano i parametri fisiologici dei piloti solo dopo pochi minuti di pratica:
Il ritmo cardiaco si alza, il respiro si regolarizza, la concentrazione visiva si restringe. In poche parole, il cervello entra nello stato di flow.
Il cervello in flow
Il “flow”, descritto dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, è quello stato di piena immersione in cui si perde la percezione del tempo, dell’ambiente esterno e anche della fatica.
Nel sim racing, questo stato si raggiunge quando la sfida è perfettamente calibrata alle proprie capacità.
In quel momento, il cervello rilascia dopamina, il neurotrasmettitore della motivazione e del piacere che regola anche l’apprendimento e la memoria, rendendo ogni sessione di guida un potentissimo allenamento cognitivo.
Ecco perché il sim racing non è solo una “palestra mentale” per atleti, ma anche uno strumento educativo per lo sviluppo di soft skills come gestione dello stress, concentrazione, comunicazione e resilienza.

Lo stress buono: alleato della performance
Non tutto lo stress è negativo. Durante una sessione di simulazione, il cervello attiva quello che in neuroscienze viene definito eustress: uno stress “buono” che mantiene il livello di attivazione ottimale per la performance.
Troppo poco stress genera noia, troppo stress provoca ansia.
Nel mezzo, c’è la zona ideale di allenamento mentale: quella in cui la mente è presente, reattiva, lucida.
È qui che i percorsi di mental coaching e mindfulness applicata al sim racing gestiti dalla mental coach Michelle Manias diventano strumenti formativi potentissimi. Allenano a restare centrati anche quando tutto accade in un istante.

Dal simulatore alla vita reale
Ciò che si allena nel simulatore non resta confinato lì. Le stesse reti neurali che gestiscono concentrazione, coordinazione e calma sotto pressione si attivano anche in contesti quotidiani: sul lavoro, nello sport, nelle relazioni, nella guida su strada.
In Synergia, lo chiamiamo Drivefulness — la consapevolezza in movimento. Nato da un progetto di sensibilizzazione alla sicurezza stradale , grazie all'integrazione di neuroscienze, coaching e simulazione, il progetto Drivefulness si è sviluppato in veri e propri percorsi per formare atleti, team e aziende capaci di mantenere lucidità e performance anche sotto pressione.
In sintesi
Il sim racing non è un gioco. È una palestra per il cervello. Un luogo dove l’attenzione si affina, la mente impara a restare stabile nel caos, e il corpo risponde con precisione e fluidità.
Quando il pilota entra nel flow, non guida solo un’auto virtuale: guida se stesso.



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